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LA CATONA

LE DONNE CHE FECERO LA GRANDEZZA DI ROMA

PORZIA (LA CATONA)

Nessun’altra donna meglio di Porzia ha rappresentato la stirpe dei Catoni.
Figlia di Marcio Porcio e di Atilia, ha incarnato fino alla fine tutti i rancori, gli odi, le rigidità morali tipiche di una famiglia che nel corso dei secoli ha dato a Roma sempre lo stesso tipo di uomini.
Marcio, pronipote dell’altro “marcio” nemico giurato di Scipione, stava per sposare Emilia Lepida già promessa a Scipione Metello. Pochi giorni prima delle nozze, Scipione ci ripensò e volle di nuovo Emilia.
Figuratevi come ci rimase Catone: lo scorno era troppo grande per fare finta di niente. Lui, che non aveva ancora conosciuto una donna, denunciò Scipione (corsi e ricorsi storici…) che ovviamente fu assolto in tribunale: alla beffa, aggiunse il danno.
Catone aveva due sorellastre (zie di Atilia): la prima Servilia era stata la moglie ripudiata per sconcezza da Lucio Licinio Lucullo; la seconda Servilia, per due volte amante di Cesare era la madre di Bruto, forse figlio dello stesso Cesare.
I matrimoni dell’epoca avevano una doppia valenza: economica (l’unione di due patrimoni) e politica (l’unione di due ambizioni). Catone ripiegò su Atilia, non nobile ma ricca.
Atilia, bella, acculturata, piena di vita e di passione. Esattamente il contrario di Catone. Ovviamente passò pochissimo tempo (giusto per fare due figli…) tra il matrimonio e il ripudio per dissolutezza. Atilia aveva tradito più volte il marito, che non resse alla vergogna.
Catone era in buona compagnia: in quel periodo molti uomini importanti dovettero subire le intemperanze delle mogli. Tutta una serie di personaggi erano accomunati dal comportamento indecoroso delle loro spose: Lucullo, Lepido, Crasso, Enobarbo, Decimo Bruto, Metello, Giunio Bruto, Pompeo, Silano, Cesare, Pulcro fratello e amante delle tre Claudie famose per la loro dissolutezza.
Come da tradizione, Catone si risposa. Stavolta la vittima è Marcia, di Lucio Marco Filippo già console e proconsole.
Qui Catone mette in luce tutta la sua grettezza, avidità, cinismo. Il suo amico Ortensio voleva una moglie giovane che gli potesse dare dei figli: che fa Catone? Pensa di dargli Porzia, ma poi ci ripensa: gli offre la moglie Marcia e gliela vende, con opzione di riscatto!
Ortensio era più ricco di lui e il tenero Catone aveva fatto bene i conti: si riprese Marcia alla morte dell’amico, con tanto di eredità!
Come tutti i Catoni, Porzia aveva quell’intransigenza atavica, che unita a una morigeratezza più ostentata che reale, portava la tipica altezzosità catoniana a influire sulle sue scelte di vita: subì mestamente la decisione del padre di sposarla a Calpurnio Bibulo (il Bevitore).
Bibulo era nemico di Cesare quanto lo era Catone, e Porzia buttò benzina sul fuoco anche all’interno della casa per spingere il marito a scelte impopolari purché anticesariane. La sconfinata ammirazione per il padre, dava frutti pieni di astio verso il nemico: la fedeltà al marito andava di pari passo con le richieste di prese di posizione antitetiche a quelle di Cesare.
Il sodalizio politico tra Catone e Bibulo era accomunato anche dal vizio di bere, tanto che dopo l’ora nona (quella del pranzo) in Senato si presentavano entrambi ubriachi, scalzi, in tunica, e venivano bersagliati dai commenti e dai lazzi dei senatori che giudicavano aspramente il loro comportamento.
Bibulo rivestì varie cariche in rappresentanza dell’oligarchia senatoriale, fino a quella di console nello stesso anno di Cesare. Calpurnio, di famiglia antica ma plebea eletto dagli optimates, e Cesare, di famiglia nobilissima (discendente addirittura da Enea), eletto dai populares. Durante quell’anno (59 e.a.) Cesare promulgò varie leggi tra cui quella che distribuiva ai veterani di Pompeo e a circa trecentomila romani con almeno tre figli a carico, le terre demaniali. Gli oligarchi andarono su tutte le furie: quelle terre anziché essere ripartite tra pochi latifondisti, erano assegnate alla plebe! Dal tempo dei Gracchi non si assisteva a un’azione del genere. Il giorno della votazione della legge agraria, Catone e Bibulo si piazzarono davanti al tempio dei Dioscuri e inveirono insieme ai loro fedelissimi, contro Cesare. Per mantenere l’ordine, Cesare fa arrestare Catone e disperde i dimostranti (niente di nuovo sotto il sole…).
Il giorno dopo, non potendo essere arrestato, Bibulo si reca in Senato: durante il percorso riceve un affronto che segnerà la sua vita e quella di Porzia. Alcuni popolani lo aspettano e gli rovesciano addosso alcuni secchi pieni di escrementi! Altro che galera! Si autoimprigionò in casa e per la vergogna non uscì più!
Quell’anno fu chiamato “l’anno del doppio console: Cesare e Caio Giulio”.
La povera Porzia si ritrova col padre in galera e il marito vituperato.
Il furbo Cesare aveva posto un’appendice alla legge: qualsiasi senatore non l’avesse ratificata giurando di rispettarla e farla rispettare, andava incontro a pene gravissime, tra cui l’esilio.
Quale fu l’atteggiamento di Porzia? Pregò il padre, come tutte le donne di casa, di giurare, o lo sostenne nell’intransigenza? Lei era la sua prima sostenitrice, la più dura e pura, la più fanatica: che cosa disse al padre? Nessuno lo sa, ma ogni ipotesi è possibile.
Fu l’annus horribilis di Porzia.
Aveva dato due figli a Bibulo: uno di loro si distinguerà per lo stesso atteggiamento intransigente catoniano, fino a schierarsi apertamente coi cesaricidi.
Nel 58 Cesare inizia la campagna di Gallia che lo porta a diventare il padrone di Roma, dopo aver battuto Pompeo a Farsalo e i suoi figli a Munda nel 45.
Durante questi tredici anni, il solito Catone assecondato dal solito scudiero Bibulo e seguito dai soliti grandi oligarchi, ossessionato dalla solita rabbia e dalla solita invidia di famiglia, trama contro Cesare chiedendo addirittura al Senato di farlo consegnare ai popoli vinti in Germania per farlo giustiziare in quanto “Roma non deve temere i Germani, ma Cesare”.
Sono gli anni dell’ascesa militare e politica di Cesare. Muore sua figlia Giulia, sposa di Pompeo, e l’ex genero lo abbandona per invidia e ambizione; si allea con gli oligarchi senatoriali guidati da Catone e Bibulo.
Cesare passa il Rubicone per portare la sua candidatura a console con le armi: è la guerra civile.
Pompeo è raggiunto da Catone in Epiro. Inspiegabilmente, in quanto si conosceva benissimo l’inettitudine militare di Catone, Pompeo gli affida il comando della flotta, che non si muove da Durazzo e assiste alla tremenda sconfitta di Farsalo. Catone scappa a Corcira (Corfù). Pompeo in Egitto. Giunio Bruto a Larissa. Bibulo non fa in tempo a scappare perché muore di malattia. Anno 48 e.a.
Da Corcira, Catone si fa portare nella sua amata Utica (vicino Cartagine) e si suicida in un modo straordinario: si apre il ventre con un coltello, e con le proprie mani, davanti a tutti quelli che erano accorsi, si strappa gli intestini!
Nel 46 Cesare distrugge i superstiti dell’esercito di Pompeo a Tapso: cinquantamila legionari fedeli al partito degli oligarchi.
Bruto, amato cugino, porta solo brutte notizie a Porzia: la morte del marito, quella del padre, le sconfitte militari. Bisogna capire la poveraccia quando si rende anche conto che la zia, madre di Bruto, imperversa a Roma nel nome e per conto di Cesare: alcune voci arrivano addirittura a riferire che Servilia, non più giovane, infila nel letto di Cesare la propria figlia, che le somiglia molto.
Porzia non poteva che sposare Bruto. In nome del padre, del marito e dell’odio verso Cesare.
Per sposare Porzia, Bruto divorzia da Claudia (un’altra!), nipote delle famose tre sorelle bellissime, libertine e incestuose con Pulcro. Al contrario delle zie, era una donna irreprensibile, anche se piena di vita: l’atteggiamento imbronciato, astioso, lugubre, di Bruto l’aveva intristita. Bruto aveva preso male anche il fatto che le trenodie per la rotta di Farsalo e la morte di Catone si fossero trasformate nella esaltazione delle gesta di Cesare: Giulia come tutta risposta gli portò una copia dell’Anticatone che il Divo Giulio aveva scritto in risposta a un libello che nientepopòdimenoche lo stesso Cicerone aveva scritto in onore dell’uticense. La scena in casa fu riportata da vari storici e sembra essere del tutto vera: i due cominciano a litigare e Giulia prima giustifica il rotolo di pergamena di Cesare, in quanto Catone, secondo lei, non è altro che “un invidioso, che non capisce niente di politica, che si arrampica sulle nuvole: solo un sacco traboccante di fiele”. Poi passa a chiedere al marito il perché non avesse mai avuto il coraggio di chiedere alla madre chi fosse veramente suo padre. Infine conclude commentando e rimproverandogli di non essere assolutamente il figlio di Caio Giulio perché non somigliante né nel fisico né nel carattere, ma soprattutto di non valere “il dito pollice del piede sinistro di Cesare”! Prende bagagli e ancelle e torna da papà Appio Claudio.
Bruto e Porzia erano cugini di secondo grado e si conoscevano da sempre. Forse lei ne era innamorata fin da bambina.
Le due “catonità” si unirono sia nel matrimonio che nella lotta al Divo Giulio.
Tutti i congiurati del 44 avevano aderito alla congiura, a patto che a guidare gli armati fosse stato Bruto. Cassio puntava su Porzia per abbattere le ultime resistenze di Bruto, e ci riuscì attraverso un gesto eclatante di Porzia, tanto ispirato al suicidio del padre: la “Catona” si tagliò una coscia con una lametta. Dalla ferita profonda uscì molto sangue: dolori lancinanti e una fortissima febbre attanagliavano Porzia. Lei chiamò il marito e lo rese partecipe del fatto, rimproverandogli di non metterla a parte dei “segreti” che lo tormentavano e che nessun dolore l’avrebbe distolta dalla stima per lui e per le sue idee, e dalla volontà di condividerne i comportamenti.
Plutarco racconta che il giorno delle idi di marzo, Porzia si mostrò estremamente tesa e nervosa: chiedeva continuamente dove fosse il marito, e a ogni piccolo rumore usciva come una forsennata da casa, come in preda a “furori bacchici”. Questo fu il motivo per cui un servo corse ad avvisare Bruto che “Porzia stava morendo”. Anziché correre a casa, Bruto non si fermò: aveva un appuntamento non rimandabile.
I congiurati, dopo il fatto, si aspettavano inni di gioia sia da parte dei senatori che del popolo: furono costretti a rinchiudersi nel Campidoglio protetti per 4 giorni dai gladiatori!
Ci fu un vuoto di potere: non si trovava più un Console (Antonio, sparito…), tre pretori rifugiati in Campidoglio (Bruto, Cassio, Cinna), finché entrarono in città i veterani di Cesare che impedirono a Cassio di far buttare il cadavere nel Tevere e improvvisarono un rogo per le esequie.
Quello che Cicerone (mal gliene incolse…) aveva definito “giorno luminosissimo” non portò né la gioia del popolo “liberato”, né le uccisioni dei “cesariani” da parte della folla inferocita, né resuscitata la vecchia repubblica, né esaltato l’intero Senato.
In quei giorni funesti, Porzia si rese conto che gli onori militari concessi a Cesare non solo furono un errore politico dei cesaricidi, ma anche un’offesa alla memoria del padre e di tutti quelli che avevano tramato.
I veterani fecero di Roma un campo di battaglia: distrussero le case dei “cesaricidi” e costrinsero alla fuga i congiurati e le loro famiglie. Porzia e Bruto compresi.
Gli “sposini” prima si rifugiarono a Napoli, poi a Velia (nel Cilento), da cui nascostamente Bruto partì su una nave diretta in Grecia. La scena che descrive Plutarco è di una struggente drammaticità: dopo aver aspettato il mare calmo, finalmente Bruto prende il mare senza avvisare la moglie, che lo guarda allontanarsi e che rimane immobile sulla banchina senza un gesto, una lacrima, un addio.
E fu un vero addio: Porzia non rivide più Bruto.
La Catona non era tipo da piangersi addosso!
Durante una delle sue tante peregrinazioni in Asia, Bruto ricevette la notizia che il bambino partorito dalla moglie era morto. Nonostante la lontananza, i due continuarono a scriversi: in una lunga lettera di Porzia, Bruto lesse tra le righe tutta la disperazione e la tristezza della moglie da cui non si era fatto seguire malgrado i suoi propositi di fedeltà e unione. Fu l’ultima lettera, ricevuta la vigilia della battaglia di Filippi. Anno 42 e.a.
Porzia aveva già dato segni di squilibri mentali, tanto che la famiglia paterna aveva fatto in modo che, pur nella casa del marito, fosse sempre seguita e protetta da eventuali tentativi di suicidio.
Qualche giorno dopo che il banditore aveva letto la notizia della vittoria dei cesariani (Antonio e Ottaviano), ci fu l’ultimo, tremendo, impensabile, cruentissimo, drammaticissimo, dolorosissimo gesto di Porzia: da degna Catona, si riservò un suicidio che esaltò tutte quelle qualità che il suo senso di appartenenza a una stirpe di intransigenti ed esaltati personaggi, che comunque fecero la storia, gli potevano aver trasmesso.
Porzia fa allontanare la serva che le è vicina, chiedendo da bere: afferra con entrambe le mani le braci che ardono nel braciere e se le caccia in gola.
Nessuno riesce ad aprirle la bocca e lei muore tra atroci spasimi, senza un lamento.
Dimostrò una forza fisica e mentale che avrebbero potuto garantirle ben altro destino!

Maurizio Marcelli

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