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Verzo... Roma

FULVIA

LE DONNE CHE FECERO LA STORIA DI ROMA

Fulvia

Figlia di Fulvio Bambalio (il balbuziente) e di una donna della gens Tuditana, unica discendente dell’una e dell’altra famiglia, rimane erede di due fortune immense.
Essendo bellissima, giovane, fiera, affascinante e con l’animus per la politica, diventò subito un’ambitissima donna per tutti i rampolli della Roma degli anni sessanta e.a.
Sposò Publio Claudio Pulcro (il bello), fratello, probabilmente incestuoso, delle tre Claudie che facevano infiammare i commenti del popolo sulle loro scorribande tra i giovani patrizi.
Nel 59 Pulcro si fa adottare da uno sconosciuto plebeo per poter concorrere al tribunato della plebe: Cesare in un solo giorno autorizza l’adozione, gli cambia nome in Clodio e lo fa eleggere tribuno.
Clodio era compagno di altri scavezzacolli che passeranno alla storia: Marco Antonio, Curione e Milone: sregolati e libertini come lui.
Col matrimonio, Clodio si placa sottomesso dalla moglie che gli indica la strada politica e i comportamenti sociali.
Avevano un nemico in comune: Cicerone (anche se Clodio, durante la congiura di Catilina arrivò ad essere uno dei difensori della vita stessa del grande avvocato) che aveva sbugiardato Clodio nel processo intentatogli da Cesare a cui aveva insidiato la moglie Pompea (nel frattempo ripudiata).
Dopo l’elezione a tribuno della plebe, Clodio presentò una legge che condannava chi avesse fatto giustiziare un uomo senza processo: era diretta espressamente a Cicerone, che fu costretto ad andarsene in “volontario” esilio.
A Clodio però, mancava una forza militare capace di risolvere a suo favore la lotta per il potere: Fulvia fece in modo che i popolari scatenassero disordini nel foro, dove ci furono molti morti negli scontri con i partigiani dell’oligarchia senatoriale, che per sedare le rivolte fece eleggere console Pompeo (che aveva sposato la figlia di Cesare, ma che, morta lei, gli era diventato nemico).
Clodio fu aggredito a Boville da una banda di Milone, suo ex amico, che lo uccise insieme a tutta la scorta.
Fulvia andò a prendere il cadavere e alla testa di una moltitudine inferocita tornò a Roma per i funerali. Dette un’immagine di austero e fiero dolore che spaventò i senatori più degli urli strazianti che tutti si aspettavano. I funerali si sarebbero tenuti addirittura nella Curia: forse per caso, forse per dolo o su suggerimento dell’Istigatore, la Curia prese fuoco nella notte e il rogo che arse Clodio bruciò il simbolo stesso dell’oligarchia senatoria.
Al processo contro Milone, l’avvocato difensore non poteva essere che il solito Servo del Senato, nel frattempo graziato da Pompeo e tornato dall’esilio. Non riesce a parlare nella basilica a causa del parapiglia scatenato dai sostenitori di Clodio: scappa dall’aula. Milone nel frattempo scappa a Marsilia dove legge l’arringa e commenta: “Se l’avesse letta, non sarei qui a mangiare ostriche.”
Del resto, il Fuggitivo scriveva le sue orazioni ma non sempre aveva il coraggio di leggerle in tribunale: lo aveva fatto con tre delle quattro Catilinarie e lo farà dopo con le Filippiche contro Antonio.
La morte del marito rinfocolò ancor più in Fulvia la passione per la politica e dopo il periodo di vedovanza, puntò su un altro cavallo: Caio Scribonio Curione.
Ex giovane dissolutissimo, amico di Antonio e Pulcro, eletto al tribunato per merito di Pompeo che ne doveva fare un fantoccio per spostare l’ago della bilancia a favore dell’oligarchia. Curione invece, forse per riconoscenza verso Cesare che lo aveva liberato da tutti i debiti, spiana la strada al conquistatore della Gallia e alla guerra civile.
Viene mandato in Sicilia con le truppe di Domizio Enobarbo (antenato di Nerone, non il padre). Catone l’uticense, governatore dell’isola con comprovati peculati ai danni dei cittadini, se la scappa.
Curione passa in Africa, e, bravo comandante com’era, sconfigge Azio Varo (non quello delle legioni piante da Ottaviano) e il re Giuba, occupando Utica. Ma poi indugia sul campo e viene sopraffatto dalla cavalleria che Giuba era riuscito a riordinare.
Fulvia è vedova per la seconda volta.
Ha una figlia di tre anni nata da Curione: non ha problemi economici, ma a Roma la guerra civile fa vittime in tutte le fasce sociali. Si riappacifica con le cognate, le tre Claudie (una di loro è la Lesbia cantata da Catullo).
Nel 48 Cesare sbaraglia Pompeo a Farsalo: Roma è sua. A guidare il ritorno dell’esercito è Marco Antonio, visto che Cesare si è dovuto recare in Egitto per la guerra Alessandrina (incendio della biblioteca e incontro con Cleopatra).
Antonio riprende le sue dissolutezze e viene stigmatizzato dal Fustigatore dei costumi con due Filippiche, ripudia la moglie Antonia e si innamora di Fulvia.
Fulvia non era una matrona di quelle che a Roma venivano considerate angeli del focolare: lei voleva governare, e lo voleva fare nell’unico modo possibile, quello di governare l’uomo che governa.
Gli storici (Velleio Patercolo, Svetonio, Dione Cassio) sono concordi nel descrivere Fulvia tanto bella e affascinante quanto volitiva e ambiziosa.
Sposa Antonio, e l’Astioso la invita a “liberarsi del suo terzo debito con Roma”: far morire anche Antonio.
Cesare ritorna dall’Egitto nel 48 e Antonio va ad abitare con la moglie nella ex casa di Pompeo: la pretende da Cesare (che gliene chiede il pagamento) come fosse una preda di guerra.
Fulvia ripulì la casa alle Carine da tutti i parassiti che seguivano Antonio: fece cambiare vita al marito, invitandolo a seguire l’esempio di Cesare che viveva nella “domus publica” da venti anni, senza sfarzo né corte.
Conosce Cleopatra, venuta a Roma al seguito di Cesare e capisce che quella donna ha la sua stessa ambizione e volontà: dominare un uomo per dominare il mondo.
Quando Cesare si reca in Spagna, Antonio lo segue fino a Narbona, poi torna a Roma: forse perché informato dei prodromi del complotto di Bruto e Cassio?
Il Subdolo, sostiene addirittura che fu Antonio a parlare a Gaio Trebonio del complotto e non viceversa: la perfezione tecnica e stilistica della seconda filippica la fa troppo bella per essere vera. Troppo rancore spingeva il Pifferaio contro Antonio per non pensare a una calunnia. Forse Antonio aveva intuito che Trebonio fosse a conoscenza di molte più cose che portarono poi alle idi di marzo.
Dopo l’uccisione, Antonio (console) e i suoi due fratelli (pretori) si impadroniscono delle carte e del tesoro di Cesare: Fulvia organizzò dietro le quinte tutto ciò che il marito avrebbe dovuto far sapere su Cesare, e cosa nascondere.
Fulvia, a nome e per conto del nuovo marito, gestì un vero e proprio “mercato delle cariche”, sempre secondo il Grande Calunniatore. Forse, oltre ai rancori profondi del Vendicativo, dobbiamo pensare che qualcosa di vero ci fosse.
Ma Fulvia non si fermò alla vendita di province e reami, voleva le sue truppe per imporre a Roma il potere di Antonio.
Andò con lui ad accogliere le legioni che tornavano dall’Epiro e destinate ad Antonio per la Gallia Cisalpina che il console aveva scambiato col proconsolato della Macedonia. Ma ad istigare e sobillare queste truppe a non seguire Antonio, aveva pensato già Cesare Ottaviano: Fulvia non solo pretese da Antonio la decimazione dei soldati, ma assistette alle decapitazioni fino a farsi schizzare addosso il sangue dei giustiziati.
Fulvia diventò per i nemici (tra cui anche gli “ottaviani”) anche crudele e sanguinaria.
Il Nemico Dichiarato porta avanti una feroce battaglia contro Antonio: scrive orazioni brucianti (le filippiche) e fa votare dal Senato le liste di proscrizione. Fa eleggere Irzio e Pansa e scatena la guerra di Modena: Antonio stava assediando Decimo Bruto che ci si era rifugiato, ma fu dichiarato “hostis” (nemico di Roma) dal Senato manovrato dal Burattinaio.
Fulvia si presenta in Senato in lutto, con i figli in braccio e piangendo con la madre di Antonio (Giulia): l’Insensibile le fa cacciare quando i senatori impietositi stanno per rivedere le loro deliberazioni.
Da quel momento l’odio di Fulvia si tramutò in bramosia di vendetta.
A Modena, Antonio aveva contro: Irzio e Pansa (i due consoli) e Ottaviano. Scappò in Gallia, ma dopo la morte dei consoli fu richiamato da Ottaviano stesso a stipulare un patto con Emilio Lepido a cui si era unito. A Ottaviano interessava diventare padrone di Roma: cedette a Antonio tutta la parte orientale di quello che era ormai l’impero, rimandando a giorni più favorevoli l’eliminazione fisica di quello che per lui era ormai un nemico.
Per mantenere una certa unità del triumvirato, a Roma scattò la vendetta, su richiesta esplicita di Fulvia (e quindi di Antonio): primo della lista di proscrizione, l’Intrigante!
Il Fuggitivo fu sorpreso in lettiga e ucciso durante la sua fuga dalla sua villa di Formia: il comandante del manipolo che lo intercettò presso la sua villa di Formia, era un certo Popilio che lo Spudorato aveva difeso e fatto assolvere dall’accusa di parricidio, nonostante la provata colpevolezza.
Al Corruttore furono tagliate le mani e la testa. I macabri trofei furono portati a Roma ed esposti sui Rostra. I romani si accostano ai resti di colui che si era proposto come difensore della repubblica, e si allontanarono dal Foro mestamente, senza proteste.
Qualcuno volle donare a Fulvia la testa del Voltagabbana e lei, tra mille insulti ed ingiurie, trapassò la lingua che aveva tuonato contro i suoi uomini, con lo spillone con cui si reggeva i capelli. Aveva, tra i mille motivi di rancore, anche la voglia di vendetta legata alla difesa (e normale assoluzione guidata dal Corruttore) degli assassini di Clodio, suo primo marito.
Le liste di proscrizione non portavano solo vendette, ma anche i soldi confiscati e necessari per pagare le truppe: con i soldi arraffati guidò Antonio a concludere la guerra contro i cesaricidi al fianco di Ottaviano che se ne assunse i meriti, nonostante fosse stato Antonio a vincere le due battaglie di Filippi.
Nel 42 accompagna il marito all’imbarco di Brindisi verso l’Asia: fu l’ultima volta che lo vide.
Antonio si lascia sedurre da Cleopatra e diventa nemico di Ottaviano e quindi di Roma.
Fulvia, secondo Marziale che scrive però quasi un secolo dopo, decide di ripagare Antonio con la sua stesa moneta: cerca di accaparrarsi Ottaviano, che aveva sposato sua figlia Claudia e non aveva consumato a causa della tenera età della moglie. Ottaviano non accetta lo scambio tra madre e figlia (“...o ti chiavo, o combattiamo? Il mio cazzo m’è più caro della mia stessa vita: suoni la tromba, e lotteremo!).
Quando ad Azio Antonio fu sconfitto e fuggì in Egitto, anche Fulvia fuggì da Roma, sconfitta e furiosa.
Cadde ammalata e non riuscì più ad incontrare Antonio, nonostante le innumerevoli lettere inviate per sollecitare l’uomo di Cleopatra a tornare a Roma per difenderla dalla vendetta di Ottaviano.
Morì disperata.
Antonio, da gentiluomo qual era, nell’incontro che finalmente ebbe con Ottaviano gettò le colpe del dissidio politico addosso a Fulvia, che definì “perfida istigatrice”.
La donna che aveva ammansito, guidato, comandato, tre capipopolo non era riuscita a compiere l’ultimo e decisivo passo: fare di Antonio il padrone di Roma e se stessa padrona di Antonio.

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