PAPI, ARCHITETTI E CAMPANILI

Questa è la storia dei due campanili di S. Pietro.
Campanili che non ci sono.
Per costruire i due campanili che avrebbero dovuto affiancare la facciata della chiesa, tre grandi papi e tre grandi architetti impegnarono una gran quantità di tempo, di soldi, di capacità, di arte, di intrighi, di volontà e di rancori. Con l’unica conclusione che, oggi, i campanili non esistono.
Il secolo della nascita e dell’affermazione del Barocco, ha visto, nella sua prima metà, il confronto-scontro tra le volontà papali e la natura del suolo. Tra architetti capaci di arte e artisti con scarsa preparazione in architettura.
Nel 1612 papa Paolo V Borghese incarica Carlo Maderno di modificare il progetto secondo cui i campanili di S. Pietro avrebbero dovuto essere realizzati sul solaio delle prime due cappelle. Il papa decise che la facciata sarebbe stata affiancata da due campanili più alti del fronte. Ad un problema, se ne sommava un altro: la facciata era stata spostata in avanti proprio da Maderno, che aveva trasformato la pianta della basilica da croce greca (come dal progetto di Michelangelo) a croce latina, allungando le navate di decine di metri. Questa modifica, aveva avuto come conseguenza un fatto insolito: da tutta Roma si vedeva la cupola, meno che da di fronte alla chiesa. Allargando ancora la facciata coi due campanili, S. Pietro sarebbe stata ancora più sproporzionata.
Ma la volontà del papa…
Maderno iniziò a scavare le fondamenta: mentre il sottosuolo della zona nord (verso i palazzi vaticani) si mostrava discreto anche se non molto solido, per la parte sud (verso il Gianicolo) i problemi erano gravissimi: malgrado uno scavo profondissimo (oltre 30 mt.) Maderno si trovò davanti, non solo un terreno sabbioso e instabile, ma addirittura un fiume sotterraneo. Pur di non contraddire il papa, fece riempire di fieno e mattoni la parte più profonda dello scavo e colmò le fondamenta con pali e travertino fino alla base del campanile. Quando Paolo V morì (1621) le strutture delle due torri erano arrivate alla stessa altezza della facciata: sarebbero dovute crescere quasi altrettanto. Maderno non aveva voluto costruire oltre.
Ma i papi cambiano, e gli architetti pure: Maffeo Barberini diventa Urbano VIII e il nuovo responsabile dell’immenso cantiere di S. Pietro, diventa Giovanni Lorenzo Bernini (Gianlorenzo lo chiamarono i francesi, ma lui si firmava Lorenzo).
Nel 1636, dopo che la costruzione dei campanili era ferma da anni a livello di sola struttura, Urbano incarica Bernini di portare avanti la costruzione secondo un progetto che lui stesso aveva presentato al papa e realizzato in scala: i campanili erano a tre piani (un piano in più della facciata) con tetto a piramide, con archi, colonne (ovviamente, di spoglio: sottratte ai tanti ruderi e monumenti che a Roma facevano da “cave”), croci, angeli e… api, tante api. Costo: 70.000 scudi contro i 30.000 del Maderno.
Non ci sono disegni autografi, ma, per rendere l’idea, dovevano essere molto simili nella forma ai campaniletti che lo stesso Bernini realizzò sulla facciata del Pantheon (quelli che i romani battezzarono “orecchie d’asino”) che fortunatamente furono demoliti in tempi moderni.
Sapendo le difficoltà che aveva incontrato Maderno nelle fondamenta, Bernini richiese un sopralluogo da parte di esperti costruttori che stavano lavorando a S. Pietro: volle una specie di “certificazione” per aver modo, molto furbamente, di scaricare sugli altri, papa compreso, le responsabilità di eventuali problemi di staticità.
Furono convocati dal papa, Giovanni Colarmeno e Pietro Paolo Drei, che rilasciarono dichiarazioni rassicuranti a Urbano (immaginiamo cosa sarebbe successo se non lo avessero fatto…) e Bernini nel maggio del 1638, dopo un pranzo benaugurante con tutti gli addetti alla fabbrica (160 persone) posò la prima pietra dei nuovi campanili.
Per le statue che avrebbero dovuto sormontare le cuspidi, Urbano riabilitò Luigi, il fratello di Bernini, che era stato cacciato dalla fabbrica per “lascivia”. Lorenzo (che ce l’aveva col fratello) accettò la nomina a “soprastante” di Luigi e i campanili cominciarono ad alzarsi sempre di più.
Per la festa di S. Pietro e Paolo del 1641, Bernini organizzò la messa in opera di una struttura di legno dipinto in modo da sembrare travertino, che rappresentasse il terzo piano del campanile sud, arrivato allora al secondo. Il risultato era strabiliante: una torre alta 65 metri rispetto ai quasi 50 della facciata a cui era affiancata.
Ma non solo le fondamenta minavano l’opera…
Quando il papa vide la torre, non gli piacque. Ordinò di abbattere il piano in legno e redarguì pesantemente Bernini che aveva osato modificare il progetto approvato. Solo per abbattere le strutture in legno, la spesa fu di 25.000 scudi: un’enormità! Immaginiamo quanto costò a Bernini in termini di stima e affidabilità! Il papa gli rimproverò di non aver ascoltato i consigli di altri architetti… tra cui Borromini.
Tutti sapevano del problema delle fondamenta della torre sud e tutti, più o meno ufficialmente, avevano previsto i problemi che stavano minando la stabilità non solo della torre, ma anche della parte sud della facciata a cui la torre era “agganciata”. Bernini cadde in depressione dopo la reprimenda di Urbano.
Aveva peccato di leggerezza: si era preoccupato più della parte artistica che di quella ingegneristica e quando nel 1642 la Congregazione della Fabbrica di S. Pietro, dietro richiesta del papa, bloccò i lavori della torre sud, a Bernini crollò il mondo addosso.
I lavori della torre nord continuarono, poi rallentarono, poi si fermarono.
I campanili erano diventati la favola di Roma.
Urbano era distratto da un altro problemuccio: la guerra di Castro. Il papa voleva assegnare alla casa Barberini il territorio di Castro, una città fiorente nel commercio, appartenente ai Farnese. Fiumi di denaro furono deviati sulla raccolta di soldataglie impegnate a combattere non per la Chiesa o per il papa, ma per Maffeo Barberini.
I lavori erano fermi e nessuno sapeva se e quando sarebbero ripresi
Ma i papi passano…
Alla morte di Urbano viene eletto Giambattista Pamphili, un giurista romano che si impegna subito a riparare i danni che la guerra del Barberini aveva fatto alle casse del Vaticano.
Quasi presagendo la morte di Urbano, Bernini aveva scritto a un suo amico francese: il cardinale Mazzarino. Gli aveva chiesto asilo, immaginando che il nuovo papa lo avrebbe sollevato da ogni incarico a Roma. Mazzarino si dimostrò accogliente e promise a Bernini l’incarico di “architetto del re”. Lì per lì non se ne fece niente, ma la strada era stata aperta.
Innocenzo, oltre a cercare di tappare l’enorme buco dell’erario, si concentrò sulla Fabbrica: incaricò i cardinali fratelli Bernardino e Virgilio Spada di creare una commissione che facesse luce sulla situazione dei campanili. Virgilio era un ottimo studioso di architettura e Innocenzo si fidava delle sue valutazioni. La commissione lavorò oltre un anno a verificare lo stato delle fondamenta. Furono scavati cunicoli dove architetti (tra cui Borromini), esperti (Drei, Spada, Artusini ecc.), si calarono per controllare la situazione. Le conclusioni della commissione furono ovviamente contrastanti, ma l’impressione generale appoggiava le tesi di Borromini secondo cui le fondamenta della torre sud erano assolutamente incompatibili con l’enorme peso che Bernini gli stava appoggiando sopra. Alcune crepe nella facciata di S. Pietro sconsigliavano il proseguimento dell’opera, anche della torre nord. Ci furono riunioni tra la commissione incaricata, la Congregazione di S. Pietro, il papa, gli architetti ed esperti che avevano visonato le fondamenta: Borromini si scagliò contro Bernini dimostrando quanto sbagliati fossero i calcoli statici dell’opera. Bernini ribadì che gli esperti, dietro sua richiesta, avevano rassicurato a suo tempo sulla tenuta delle fondamenta di Maderno su cui si era appoggiato, quindi non era colpa sua se quegli esperti, tanto esperti non fossero. Borromini spiegò che le fondamenta erano di diversa natura per la torre sud e per la facciata e legare i due manufatti avrebbe portato al crollo di entrambi. I fratelli Spada parteggiarono apertamente per Bernini che cercò il loro supporto per influenzare il papa sulla ripresa dei lavori.
Innocenzo era perplesso, così emise una specie di bando di concorso, appellandosi a architetti e costruttori chiedendo le loro ragioni e proposte. Come stavano effettivamente le cose e quali fossero i progetti per i campanili: demolirli o continuare la costruzione, e come?
Al “concorso” parteciparono 8 tra artisti e architetti. Bernini, quale architetto ufficiale di S. Pietro, presentò oltre al progetto rivisitato delle torri, anche quello sulle decorazioni dell’interno della chiesa.
Borromini… non partecipò. Anche se fece in modo che la Congregazione venisse a conoscenza dei suoi disegni che lui tenne per sé, risolvendo in modo privato un problema pubblico. Forse si aspettava un appello disperato dalla Congregazione, che lo avrebbe assunto come “salvatore” del progetto. O forse era troppo impegnato in altri progetti, o ancora, non voleva che altri avessero approfittato del suo genio per poi appropriarsi del successo dell’opera. Rimase in disparte.
Passò altro tempo e all’inizio del 1646 i disegni definitivi di Bernini, che tenevano conto dei pareri e dei suggerimenti degli altri architetti, tra cui specialmente Carlo Rainaldi, furono presentati a Innocenzo. Il papa approvò.
La Congregazione, soltanto tre giorni dopo, emanò un decreto secondo cui “un campanile che è stato recentemente costruito (la torre sud) deve essere completamente demolito fino all’altezza degli Apostoli (le statue che sono sulla facciata) e le pietre ricavate devono essere messe ai fianchi della chiesa per poter essere utilizzate nella costruzione di nuove torri, secondo un progetto allo studio”.
La demolizione andò avanti per quasi un anno, e le pietre furono messe da parte, ma non si diede inizio a nessuna costruzione: i denigratori di Bernini ripresero forza. Addirittura, il papa confiscò i beni di Bernini per un totale di 30.000 scudi, “a indennizzo dei danni provocati dal campanile”.
Innocenzo non spiegò mai il perché del suo voltafaccia nei confronti di Bernini e del suo progetto approvato, ma le molte voci che circolarono a Roma mentre il papa era in vacanza “per riposo” nei suoi possedimenti (S. Martino al Cimino) fecero intendere che una “misteriosa figura” avesse spinto il Pamphili a cambiare idea, sia spingendo sull’orgoglio personale contro i Barberini e il loro architetto di fiducia, sia sul disgusto verso un’opera sbagliata dal suo inizio, che sulla prospettiva di nominare un altro responsabile dei lavori. Chi fosse questa persona è facile intuire.
Bernini rispose cercando di comprare con denaro e gioielli la cognata del papa: Donna Olimpia Maidalchini. Ma spese inutilmente i suoi soldi.
La continua lotta tra Pamphili e Barberini continuava attraverso i cardinali nipoti, fino a quando, nel 1648 Camillo Pamphili convinse suo zio papa a demolire definitivamente le torri.
Per Bernini fu un dramma: la fine della sua egemonia nell’architettura del tempo, ma per l’arte fu una fortuna, perché Lorenzo di dedicò da quel momento alla sua vecchia passione: la scultura.
Dei campanili, si perse ogni voglia e ogni traccia.

Maurizio Marcelli

Chi è online

Ci sono attualmente 0 utenti e 0 visitatori collegati.

Commenti recenti