PICCOLO GLOSSARIO ROMANESCO
ABBACCHIATO:
da Abbacchio (italiano: agnello). Abbacchio è il piccolo di pecora che nell’antichità veniva legato ad un palo infisso per terra, per non farlo muovere e far restare quindi i muscoli poco tonici, flaccidi, e la carne tenera. Questo bastone in latino si chiamava BACULUM, quindi l’animale era AD BACULUM, da cui abbacchio. La persona abbacchiata è quindi “TRISTE, ADDOLORATA, STANCA” Secondo il dialetto giudaico-romanesco, la parola ABAKAN ha lo stesso significato di “TRISTE, DIMESSO”.
ABBUSCÀ (o BUSCÀ):
dallo spagnolo (quante influenze per il nostro dialetto…) BUSCAR, “CERCARE”. Questa è una delle parole che nel tempo ha assunto due significati diversi, anche se collegati tra loro: “GUADAGNARE, INCASSARE” da qui il secondo significato: “PRENDERE LE BOTTE”.
ALLUMÀ:
dal francese ALLUMER “ILLUMINARE”. Anche questo verbo può avere un doppio significato derivato collegato: significa sia “ILLUMINARE, FARE LUCE” che “VEDERE, ADOCCHIARE”.
APPENNICASSE:
viene usato solo in forma riflessiva e significa “APPISOLARSI” dal latino PENDICARE ovvero PENDOLARE, facendo riferimento al dondolare della testa nel momento della PENNICA, che è “IL CLASSICO PISOLINO DEL DOPOPRANZO”.
APPIZZÀ:
deriva da PIZZO che vuol dire “PUNTA, ESTREMITÀ”. Il verbo indica il “PRESTARE ATTENZIONE” forse con riferimento al movimento delle orecchie dei cani, quando sentono un rumore: appizza le recchie significa: “stai attento”. Appizzà significa anche “FARE LA PUNTA, RENDERE PUNTUTO”, ma anche “ENTRARE, FARSI AVANTI, CONDIVIDERE, CONSENTIRE”.
ARANCHELLÀ:
questo verbo proviene nientemeno che da un vocabolo tedesco: RANK, che significa “STORPIO, STORTO”. Nel romanesco indica chi cammina come uno storpio, uno sciancato: aranchellà dietro a qualcuno, vuol dire “ANDARE CON FATICA, CON DIFFICOLTÀ”. Per traslato, si intende anche il “SOPRAVVIVERE STENTATAMENTE”.
ARIOCÀ:
derivato dal gioco dell’oca: significa “RIPETERE, REPLICARE, RIFARE SEMPRE LA STESSA COSA”.
AUFFA:
doppia etimologia latina: al tempo dell’impero, i materiali provenienti da tutto il mondo e destinati a opere pubbliche avevano una dicitura particolare, che evitava tasse e destinava un trasferimento privilegiato a Roma. Questa dicitura, abbreviata come la massima parte delle definizioni latine era: A.U.F. ovvero: AD URBEM FERANT: “SIA PORTATO A ROMA”. A distanza di secoli, la stessa dicitura era applicata per lo stesso motivo, ai materiali destinati alla fabbrica di S. Pietro. La sigla era la stessa: A.U.F. ma il significato era diverso: AD USUM FABRICAE. I romani quindi, storpiando la sigla, identificarono in AUFFA (o A UFFA) tutte le cose che non vengono pagate o gravate da tasse. Oggi si usa più frequentemente GRATISSE o AGGRATISSE, deformazione di GRATIS, ma la forma originale è molto più romanesca e caratteristica.
BARBOZZO:
“MENTO” dal latino BARBA. Nel medioevo anche quella parte di armatura che copriva le parti basse del viso, veniva chiamata “BARBOZZA”. Vedi Scucchia.
BAROZZA:
dal latino BIROTA ovvero “CON DUE RUOTE”. Un carro pesante con grosse ruote, normalmente trainato da buoi e quindi lento e impacciato. Il suffisso ozza, anziché a carrus (carrozza) è stato applicato a birota dando origine a questa parola.
BIOCCA:
Biocca: voce onomatopeica dal chiocciare della gallina, per trasformazione del latino VOCARE: “CHIAMARE”. Lo stesso etimo di BOCCA. Il richiamo ai pulcini, si è adattato in BIOCCÀ. Per traslato, ABBIOCCASSE significa “ABBASSARE IL LIVELLO, RINUNCIARE” come la gallina modifica il suo comportamento in fase di maternità. Un’ altra etimologia fa risalire il vocabolo a BIOS che in greco vuol dire “VITA”, ma non è chiaro il nesso.
BOCCIO:
di ignota etimologia, sta a significare “VECCHIO” riferito a persona. Può anche significare “BOCCIOLO” di un fiore o cambiare significato al femminile dove BOCCIA sta per “TESTA”. Il quarto significato si riferisce alla “BOTTIGLIA”: Stappamo ’na boccia de Sciampagna.
BROCCA:
i greci chiamavano PROKHEO la “MAMMELLA”, i romani, adattato il vocabolo in BROCCA, indicavano anche loro la mammella. I romaneschi hanno allargato il significato: oltre alla “POPPA, ZINNA” il vocabolo indica un “RECIPIENTE PANCIUTO CHE RICORDA LA FORMA DEL SENO FEMMINILE”. Il diminutivo plurale femminile viene usato nel descrivere il freddo che si avverte: Sto a batte le brocchette, nel senso di avere i brividi di freddo.
BURINO:
dal latino BURIS che è la parte curva dell’aratro che in basso diventa vomere e in alto timone. Quindi, chi ha a che fare con l’aratro, diventa burino. Significa “VILLANO, ZOTICONE, CONTADINO”. Al tempo di Belli, le parole con una erre raddoppiavano la consonante in mezzo alla parola, quindi si aveva sia galerra per galera, che burrino per burino. La parola non ha nulla a che fare col burro.
BUZZURO (BUZZURRO): per questa parola ci sono due etimologie differenti, che concordano comunque nel definire buzzuro una qualsiasi persona del nord Italia, che venga a stabilirsi a Roma. Pare che BUZZURRO fosse chiamato il commerciante di castagne che a Firenze veniva dal Cantone Ticino in inverno a smerciare la sua mercanzia. Quindi, questa etimologia non solo non è chiara, ma fa assumere alla parola lo stesso tono dispregiativo usato dai romani, che presero tale e quale il vocabolo dal fiorentino. L’altra etimologia, forse più adeguata e documentata, fa risalire la parola al francese MONSIEUR, che veniva pronunciato dai piemontesi che avevano occupato Roma: MUNSÙ. I romani, usando tutto il loro gusto del dileggio unito all’ignoranza atavica dei parlanti, storpiarono il vocabolo in BUZZURRO, che sta a significare “NORDICO, IGNORANTE, GREZZO” o tutte e tre le cose insieme. La perdita della doppia R dei primi del ‘900 ha ricondizionato la parola in BUZZURO.
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CIORCINATO (o CIURCINATO): ci risiamo col latino: i romani definivano lo schiavo a cui era stato saldato al polso una specie di bracciale, “SERVUS CIRCINATUS”, dal verbo CIRCINARE: “RENDERE ROTONDO”. Nel romanesco, la parola rende l’idea della persona “POVERA, TAPINA, DISGRAZIATA, DERELITTA”. La forma femminile può anche essere derivata da un anello di stoffa che le donne si mettevano sulla testa per portare pesi: il CERCINE. Quindi CERCINATA o CIORCINATA, era la “POVERA DONNA” costretta a sopportare fatiche.
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DETO: dal latino DIGITUS, vuol dire ovviamente “DITO”, ma questa è una parola strana: al plurale diventa femminile: DETA riferito alle mani, ma rimane maschile se riferito ai DITI dei piedi.
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FOJETTA: non è il diminutivo di Foja. Ha tutt’altro significato: l’etimologia lo fa risalite a PHIALE, un vocabolo greco che indica un “PICCOLO RECIPIENTE, FIALA, COPPA, TAZZA”. La lingua francese, alla nascita delle lingue nazionali, identificò con FEULLIETTE un tipo di botte di quasi un ettolitro. I romaneschi adottarono FOJETTA per indicare sempre una misura di capacità, ma ritornando alla dimensione greca: la fojetta a Roma indica il “MEZZO LITRO”. Le altre misure con cui gli osti e gli avventori delle osterie e fraschette indicano il vino da servire sono: Barzilai, 2 litri (dall’uso di offrire quella misura da parte dell’On. Giuseppe Barzilai agli avventori delle osterie, ai primi del ’900, in cambio del loro voto: fu eletto!); Tubbo, 1 litro; Quartino, ¼ di litro; Chirichetto, 1/5 di litro; Sospiro, 1/10 di litro.
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FROCIO: la parola, nata sicuramente a Roma, è stata acquisita dalla lingua italiana per indicare oggi un “OMOSESSUALE”. All’inizio (ca. secolo XV) indicava gli stranieri nordici che venivano in città. Forse una deformazione di “deutsch” ovvero TEDESCO; forse perché i nordici avevano generalmente nasi con grosse FROCE (NARICI) e comportamenti sessuali “anomali”. Un secolo dopo, si parlava di “moda froscia” per indicare la moda francese. Parini, in un suo scritto definisce il parlare effeminato come “parlar flosio”, dove”flosio” sta per “FLOSCIO, MOLLE”. Forse sommando tutte queste diverse etimologie, si può avere l’idea del perché oggi il termine indichi solo una cosa.
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INTIGNÀ: un’altra parola che descrive sinteticamente il carattere dei romani. Viene da TIGNA, una malattia del cuoio capelluto, difficile da curare. Chi INTIGNA è chi “NON RECEDE DALLE PROPRIE POSIZIONI”, chi “INSISTE” nel fare qualcosa che non riesce. Il romano, normalmente, è TIGNOSO non in quanto malato di tigna, ma perché quando decide di fare una cosa, non molla finché ci riesce.
INTORZATO (o RINTORZATO): il TORZO è la parte centrale del frutto: mela, pera, broccolo ecc. e quindi la parte più dura e difficile da ingerire: se il torzo si ferma nell’esofago, vuol dire che si è RINTORZATO ovvero “MESSO DI TRAVERSO” impedendo la deglutizione.
INTOSTÀ: derivato da TOSTO, cioè “DURO”. Intostà è l’azione di “INSISTERE CON DUREZZA, INDURIRSI SU UNA POSIZIONE”. Nun intostà le chiappe! si dice a chi deve subire una puntura sul sedere.
INTRONATO: il latino TONITRUS che significa “TUONO” è stato modificato nel significato romanesco. Scambiando causa e effetto, oltre che spostando la R all’interno della parola, i romani indicano con intronato non il rumore che fa un oggetto colpito ma l’oggetto stesso che rimane “MALRIDOTTO, INCRINATO” dal colpo ricevuto. Riferendo la parola a persona anziché a cosa, la persona INTRONATA, è quella che non ha più la “CORRETTA FUNZIONALITÀ DEL CERVELLO”.
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MAGNACCIA: ovviamente derivato da “MAGNÀ” sta a indicare “COLUI CHE SFRUTTA UNA PROSTITUTA”. Abbiamo già incontrato un vocabolo con significato simile, ma, per i romani non uguale: CIANCICONE. Rimando alla terza parola che incontreremo più avanti: PAPPONE, per evidenziare le differenze di significato.
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MANFRINA: questa parola si è modificata e ha cambiato significato. La MONFERRINA era una danza piemontese importata a Roma alla fine dell’800 dai buzzurri. Essendo lo svolgimento del ballo molto lungo, articolato e senza un preciso andamento, i romani hanno trasferito queste caratteristiche nella nuova parola MANFRINA che è diventata sinonimo di “TIRARE PER LE LUNGHE UNA COSA, ADULARE FALSAMENTE PER UNO SCOPO PRECISO, GIRARE INTORNO A UN ARGOMENTO SENZA AFFRONTARLO DIRETTAMENTE”.
MARACCIO o MARRACCIO: “ATTREZZO AGRICOLO DA TAGLIO, COLTELLACCIO A PUNTA RICURVA”. Dallo spagnolo MARRAZO ovvero ASCIA, RAMPONE. Produce un taglio di fattura grossolana, generalmente nel legno. Dice Belli: "ha raggione er francese che sentissi, ch’er matrimonio lo chiamò “marraccio” (marriage)". Una cosa fatta cor maraccio equivale a “QUALCOSA DI SGRAZIATO, DI SPIGOLOSO, FATTO SENZA CURA”.
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14 anni 38 settimane fa